Un luogo unico e meraviglioso, pieno di mistero e fascino. Pentedattilo è un paese fantasma arroccato su una rupe del Monte Calvario, in provincia di Reggio Calabria. Il suo nome deriva da “penta daktylos” ovvero “cinque dita”. Infatti il monte su cui sorge ha la forma di una enorme mano. Purtroppo nel tempo una parte della montagna è franata e non presenta più tutte le cinque dita. Il paese fu fondato nel 640 a.C. da alcuni coloni greci, per questo rappresenta ancora uno dei centri più caratteristici dell’area grecanica. Durante il periodo di dominazione romana, invece, divenne un importante luogo strategico militare e di controllo della fiumara di Sant’Elia, che rappresentava la porta d’accesso all’Aspromonte. Col passare degli anni e con l’alternarsi di continui domini diversi, Pentedattilo vive un lento decadimento, fino ad arrivare agli anni 60 dove viene completamente abbandonato a causa, soprattutto, dei problemi sismici della zona. Negli ultimi anni, però, è iniziato un processo di recupero del borgo che ha visto la rivalorizzazione degli edifici più importanti e la creazione di un museo. Ogni estate Pentedattilo è tappa del festival itinerante Paleariza, un evento che ha come oggetto la cultura grecanica nel mondo. Inoltre, tra agosto e settembre, viene realizzato un festival di cortometraggi chiamato Pentedattilo film festival.
La strage degli Alberti
Nel 1686 avviene a Pentedattilo un grave fatto di cronaca definito come La strage degli Alberti. Protagonisti della vicenda furono due famiglie: la famiglia degli Alberti, marchesi di Pentedattilo, e la famiglia degli Abenavoli ex feudatari di Pentedattilo. Tra le due famiglie ci furono sempre tensioni e scontri ma la miccia che farà esplodere l’ira, la gelosia e l’orgoglio del barone Bernardino Abenavoli fu la notizia del fidanzamento ufficiale tra il figlio del Vicerè, Don Petrillo Cortez e Antonietta Alberti, sorella del marchese Lorenzo e con la quale, Bernardino, progettava un matrimonio già da diverso tempo. Decise allora di vendicarsi su tutta la famiglia e, grazie al tradimento di Giuseppe Scuffari che era al servizio degli Alberti, riuscì a introdursi nel loro castello. Lì uccise gran parte degli occupanti tra cui: Lorenzo Alberti, ucciso con due colpi d’archibugio nel sonno e da ulteriori 14 coltellate e il fratellino di 9 anni Simone scaraventato mortalmente contro una roccia. Furono risparmiati solo Caterina Cortez, Antonietta Alberti, la sorellina Teodora, la madre Donna Giovanna e Don Petrillo Cortez, preso in ostaggio come garanzia contro eventuali ritorsioni del Viceré. Dopo la strage Bernardino trascinò nel suo castello a Montebello Ionico l’ostaggio Don Petrillo Cortez e l’amata Antonietta, che sposò nella chiesa di San Nicola il 19 aprile 1686. La notizia della strage in pochi giorni giunse al Viceré Cortez che inviò una vera e propria spedizione militare. L’esercito attaccò il Castello degli Abenavoli, liberò il figlio del Viceré e catturò sette degli esecutori della strage (compreso lo Scrufari), le cui teste furono tagliate ed appese ai merli del castello di Pentedattilo. Il barone Abenavoli riuscì a sfuggire e a rifugiarsi dapprima a Malta e, in seguito, a Vienna dove entrò nell’esercito austriaco riuscendo a ottenere anche una nomina a capitano. Morì, infine, in battaglia colpito da un colpo di cannone. Antonietta Alberti finì i suoi giorni nel convento di clausura di Reggio Calabria, portandosi dietro, per tutta la vita, l’angoscia e il senso di colpa dato dal pensiero di essere stata lei l’involontaria causa dell’eccidio della sua famiglia. Dopo questa strage, la mano che sovrasta il paese è stata anche chiamata la mano del Diavolo e si narra che nelle notti in cui il vento soffia forte si possano ancora udire le grida e i lamenti del marchese Lorenzo e della sua famiglia.